Monastero di Motta Grossa

Esplorando il Passato: Luoghi Abbandonati

URBEX

Lorenzo, Antonio, Elisa, Clarissa

6/18/20252 min read

Introduzione

I luoghi sono stati visitati in maniera rispettosa e senza arrecare alcun danno alle strutture.

La documentazione fotografica è fondamentale nel nostro intento di preservare la memoria storica di questi spazi. Fotografare questi luoghi non è solo un atto di registrazione, ma un modo per scoprire e comprendere la bellezza che risiede anche nella decadenza.

Tra Sacro e Oblio

Immerso tra le colline vicino a Riva di Pinerolo, il Monastero di Motta Grossa è un luogo avvolto da silenzio, storia e un’atmosfera sospesa nel tempo. La sua vicenda comincia nel 1903, quando un gruppo di monache certosine, costrette ad abbandonare la Francia a causa delle leggi anticlericali, trovò rifugio in Piemonte. Queste religiose provenivano dalla Certosa di Bastide-Saint-Pierre, nel sud della Francia, e si stabilirono in un antico castello medievale noto come Motta Trucchetti.

La trasformazione del castello in monastero fu avviata sotto la guida di Dom Roch Mallet. Si trattò di un’opera complessa, volta ad adattare la struttura alla regola certosina: silenzio, clausura e vita contemplativa. Vennero installati elementi provenienti da altri monasteri, come un orologio dalla Certosa di Le Reposoir, e nel 1904 fu benedetta una nuova cappella dedicata a Santa Rosellina.

Negli anni, la comunità crebbe e nel 1936 fu riconosciuta ufficialmente come Certosa autonoma, prendendo il nome di Motta Grossa. Si trattava della seconda fondazione femminile certosina in Italia, dopo quella di Buonluogo. La vita delle monache si svolgeva nel più stretto raccoglimento, fatta di preghiera, lavoro e autosufficienza. Le religiose si occupavano di orti, cucito, ceramica e piccole attività artigianali, mantenendo sempre un ritmo lento e profondamente spirituale.

Questo silenzio durò fino al 1998, anno in cui la comunità si trasferì alla Certosa di Vedana, in provincia di Belluno. Il monastero fu così abbandonato e passò alla Diocesi di Torino. Da allora, la struttura è rimasta in uno stato di abbandono, senza alcun intervento concreto di recupero.

Oggi, varcare i cancelli della Motta Grossa significa entrare in un luogo rimasto cristallizzato nel tempo. Le finestre sono rotte, la vegetazione ha invaso cortili e pavimenti, ma molti ambienti interni conservano ancora arredi originali, paramenti sacri, libri, utensili da cucina e oggetti personali. La chiesa presenta ancora gli stalli lignei, i resti di un altare modesto (distrutto dai vandali), e un’abside affrescata nel 1947 da Michele Baretta, dove si trovano dipinti religiosi tra cui quello di san Cottolengo. Anche la sacrestia conserva documenti e tessuti sacri, mentre le celle delle monache, lo studiolo personale e la cucina con il suo grande focolare centrale offrono uno spaccato affascinante della vita monastica.

La Certosa di Motta Grossa è oggi un luogo fragile ma carico di storia: ha visto l'esilio, la rinascita spirituale, la gestione di vaste proprietà terriere e, dopo la clausura, l'esito più malinconico dell'oblio. Alcuni comitati e associazioni, come il FAI, l’hanno inserita tra i “Luoghi del Cuore”, auspicando un futuro recupero che possa ridare vita a questo raro e toccante esempio di spiritualità femminile in esilio.

Il porte d'ingresso in legno massello

Ciò che resta della chiesa

Scatti nella polvere

ritratti di un passato che ancora parla